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La storia di Faccetta nera, brano simbolo del Ventennio fascista ma odiato da Mussolini

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Bandiera italiana

Faccetta nera: la storia, il testo e il significato del controverso brano simbolo del Ventennio fascista.

Ci sono canzoni che fanno parte della storia della canzone e della cultura italiana, anche se ne rappresentano le fasi più buie, e forse anche per questo più importanti da ricordare. Ad esempio le canzoni del Ventennio fascista, ancora oggi utilizzate dai nostalgici di un periodo oscuro della storia italiana. Tra queste, un delle più celebri è sicuramente Faccetta nera, canzone intrisa di razzismo diventata celebre durante l’epoca fascista nonostante fosse detestata anche dallo stesso Benito Mussolini.

La storia di Faccetta nera

Canzone scritta da Renato Micheli e musicata da Mario Ruccione nell’aprile del 1935, venne composta durante il periodo di massima forza della propaganda fascista, che voleva mostrare al popolo italiano la grandezza della nostra nazione, in grado di ampliare il proprio impero anche alle colonie africane, ma con un obiettivo apparentemente magnanimo: l’eliminazione della schiavitù su parte della popolazione abissina.

Bandiera italiana
Bandiera italiana

L’intento della canzone era quindi celebrativo della colonizzazione italiana e al contempo della fine dello sfruttamento del popolo abissino. In quel periodo il governo fascista tentava infatti di giustificare le sue mire espansionistiche con la “scusa” di voler liberare il popolo etiope dalla schiavitù.

Ispirato dalla lettura di notizie inerenti a questa schiavitù, il poeta romano Renato Micheli ebbe quindi l’idea di scrivere una composizione in romanesco da presentare al Festival della canzone romana. Il suo intento era quello di decantare il colonialismo italiano fascista e di mettere in risalto come la missione del fascio fosse in qualche modo “civilizzatrice”, ereditata direttamente dall’impero romano. Nel testo, in cui veniva esaltato anche il madamato (la pratica degli uomini italiani di ridurre in schiavitù, abusare sessualmente e sposare delle donne locali), non mancavano quindi riferimenti orgogliosi a ciò che stava avvenendo nell’Africa Orientale.

Il successo e l’avversione di Mussolini

Al Festival romano il brano non riuscì però a entrare e, dopo essere stato musicato da Mario Ruccione, divenne famoso solo in un secondo momento grazie all’interpretazione di Carlo Buti. Inserita da quel momento in poi in molte riviste dell’epoca, divenne ben presto molto popolare, una vera hit tra i soldati in partenza per l’Etiopia. Nel corso dei mesi il testo venne tradotto in italiano e leggermente modificato, specialmente in alcuni versi ritenuti non accettabili dal fascismo (come quello che ricordava la disfatta di Adua del 1896), ma non riuscì mai a entrare nel cuore del Duce.

Può sembrare strano ma, pur essendo ricordata ancora oggi come una delle canzoni più note del Ventennio, insieme a Giovinezza, Faccetta nera non venne mai apprezzata da Mussolini. Anzi, il dittatore la detestava, e non certo per motivi nobili. Semplicemente detestava che si potesse esaltare con una canzone il meticciato, ovvero l’unione tra le razze, inconcepibile nella sua Italia imperiale, che di lì a poco avrebbe emanato, non a caso, le deprecabili leggi razziali, una delle più grandi vergogne nella nostra storia.

Ad ogni modo, nemmeno il suo odio riuscì a fermare l’ascesa di Faccetta nera, che continuò a imperversare nella popolazione. L’unico contentino che poté ottenere fu qualche modifica nel testo, in particolare la cancellazione della strofa in cui si faceva riferimento alla “faccetta nera” come a una “sorella” e “bella italiana”.

Di seguito un audio della canzone:

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