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Guai in vista per Marra e Guè: polemica per i saluti rivolti al boss di Barona

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Guè

In una nota conclusiva della polizia penitenziaria si parla di saluti che i due rapper avrebbero rivolto dal palco a Nazzareno Calajò, in carcere per spaccio di droga.

Stando a quanto riportato da “Il Fatto Quotidiano” i Pubblici Ministeri Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco avrebbero parlato in una conclusiva di un indagine dei saluti rivolti dai due cantanti a Nazzareno Calajò, detto Nazza, boss della Barona, una nota zona di Milano.

Le frasi incriminate

La frase incriminata sarebbe stata pronunciata da Cosimo Fini, in arte Guè Pequeno, che durante un concerto all’Ippodromo di Milano del 10 luglio scorso avrebbe detto: “Nazza libero! Free Nazza! UNa mano su.” All’epoca Calajò era in carcere da aprile con l’accusa di spaccio di droga.

Poi il 22 settembre, durante un altro concerto è stato Fabio Bartolo Rizzo , in arte Marracash, a dire: “Ci tengo a ringraziare la gente del mio quartiere venuta a queste serate. Mattia (Mattia Di Bella, in arte Young Rame), Kalash (Alessandro Calaiò), Momo e soprattutto il grande zio Nazza. Un abbraccio!“. In quel momento Nazza si trovava ai domiciliari e il figlio, Kalash, in carcere. Stando a quanto riportato il cugino di Nazzareno, Luca Calajò, avrebbe mandato i video fatti al concerto alla zia e alla moglie del boss, con il messaggio: “Fai un video in cui lo zio ringrazia Marracash: l’ha salutato davanti a tutti, fai fare un video allo zio“.

Marracash
Marracash

Cosa dice la nota

Nella nota si legge: “È noto che la famiglia Calajò domini il quartiere Barona e il suo predominio lo ha ottenuto anche grazie al consenso di parte della popolazione residente, alimentato mediante numerose comparse dei principali esponenti della famiglia criminale nei videoclip di famosi cantanti rapper come Guè Pequeno, Marracash e Young Rame il cui tema principale è l’ostentazione del lusso, del denaro facile e l’esaltazione della violenza. La fama e il successo dei rapper sono un utile tornaconto per i Calajò e una perfetta cassa di risonanza per la sua professata innocenza.”

In una intercettazione Nazza avrebbe detto: “Altro che non servono a un cazzo i cantanti, i cantanti servono! Adesso m’hanno fatto una canzone per me Marra, Guè e lui (Young Rame). Compongono le canzoni per me! Hai capito?! Guè pure mi ha fatto una canzone, Il tipo.” E ancora: “In un fotogramma del videoclip del brano Love, interpretato da Marracash e Guè Pequeno, sono presenti Alessandro e Nazzareno Calajò insieme a Marracash e Young Rame”.

La Procura conclude: “La massima espressione della solidarietà dei cantanti alla famiglia Calajò è la produzione di magliette con l’effigie ‘Nazza Libero’ e ‘Verità per Nazza’ indossate dai cantanti nei loro videomessaggi sui social“.

La risposta di Marra

Tramite 8 storie su Instagram Marracash ha risposto punto su punto alle accuse che gli sono state mosse. Scrive: “Spero che le testate vogliano immediatamente modificare i titoli e gli articoli stessi. In ogni caso mi riservo di agire legalmente contro ogni tipo di diffamazione nei miei confronti”.

Non ho mai inneggiato alla liberazione di criminali, mai detto ‘free Nazza dal palco’. Ho salutato una persona che conosco come uomo, da quando sono ragazzo” scrive il rapper in una delle sue storie. Poi prosegue: “Il video di Love non è affatto un’ostentazione di ricchezza e violenza, ma l’esatto opposto. Nel video compaiono diversi pregiudicati e lo scopo è promuovere l’unità e la fratellanza tra quartieri. Proprio per cessare le rivalità e descrivere il disagio di chi resta intrappolato in una certa vita. Crescere nel mio quartiere mi ha fatto venire in contatto con realtà criminali, ma non mi ha mai impedito di essere una brava persona, né di non saper distinguere il bene dal male“.

Conclude così: “È davvero mortificante realizzare che in questo momento il genere musicale più popolare e più giovane in Italia sembra davvero essere sotto strategico attacco da parte di un certo tipo di istituzioni e di giornalismo. Generici attacchi ai testi dei cosiddetti “trapper”, decontestualizzati e spogliati della musica fino a renderli indifendibili. Poi le feste in piazza che saltano per una rilettura faziosa e ignorante di interpretazioni di realtà drammatiche che purtroppo esistono e che nel rap trovano voce nonché denuncia. Sarebbero occasione per l’apertura di dibattito e confronto con gli autori, invece vengono criminalizzati e scartati come spazzatura. Ulteriori occasioni perse per questo Paese di molte pance e poche teste“.

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